Il circuito monetario di Augusto Graziani e la valutazione dell’impatto sociale delle operazioni bancarie

Il circuito monetario di Augusto Graziani e la valutazione dell’impatto sociale delle operazioni bancarie

Massimo Cingolani[1]

La prima parte di questo contributo ricorda la definizione di moneta endogena data dal circuito monetario e accolta da Augusto Graziani, per poi descrivere quello che si potrebbe chiamare il “modello canonico” della versione del circuito da lui sviluppata, che fornisce una descrizione succinta del funzionamento di una macroeconomia che integra pienamente la moneta e le banche. La seconda accenna ad alcuni riscontri empirici del circuito monetario. Volgendo lo sguardo ai possibili sviluppi futuri, la terza parte presenta alcune idee sul possibile utilizzo della teoria del circuito monetario per la valutazione sociale delle operazioni bancarie.

1. Un po’ di teoria

1.1 Osservazioni generali

Le operazioni bancarie sono un tipo particolare di operazioni finanziarie, e come scrisse de Finetti nel 1935:

“Le operazioni finanziarie si riducono a scambi di denaro; a volerle considerare nella loro accezione più larga possibile, potremo anzi definire appunto le operazioni finanziarie come quei contratti di scambio in cui non figura nessuna merce fuorché il denaro”, De Finetti (1935, p. 471).[2]

Per valutare gli scopi di utilità collettiva dell’attività bancaria bisogna quindi ragionare su uno schema che integri pienamente la moneta e le banche e spieghi come queste si relazionano col resto del sistema economico e sociale. Il circuito monetario di Graziani soddisfa questi due requisiti e si differenzia in questo da molti approcci mainstream[3]. Come ricordato da Riccardo Bellofiore (2022), il circuito di Graziani è un modello economico a due beni (consumo e investimento) e a tre settori o poli istituzionali: le famiglie[4], le banche e le imprese. In questo schema logico la moneta si definisce come una passività emessa del settore bancario, che viene utilizzata come mezzo di pagamento fra famiglie e imprese proprio perché estranea alle loro transazioni (definizione triangolare della moneta). Il ruolo specifico della banca in questo contesto è quello di produrre mezzi di pagamento emettendo una passività “liquida” creata contestualmente all’atto di consentire un credito, un attivo di bilancio che non è liquido, a differenza del passivo monetario corrispondente[5].

1.1.1 La dimensione “sistemica” del circuito di Graziani

All’interno del sistema economico, l’attenzione di Graziani si focalizza sulle variabili monetarie a cui dedica un’analisi molto dettagliata, sviluppando di fatto il nocciolo di quello che si può indicare in gergo come il “blocco monetario e finanziario” di un modello macroeconomico[6]. In linea di principio, questa scelta rende possibile l’uso del circuito monetario in modelli con interpretazioni economiche diverse, perché il blocco di equazioni che spiega le variabili monetarie può essere integrato in schemi che possono spaziare, al limite, dai modelli neoclassici di breve termine ai modelli di lungo termine alla Garegnani o alla Pasinetti[7].

Ma pur concentrandosi sul fenomeno monetario, l’analisi non perde di vista l’aspetto sistemico. Post-Keynesiani come Eichner (1991) o Mockers (2016), ma anche molta dell’economia classica e neoclassica e in particolare i modelli di Leontief, hanno recepito l’idea di applicare la teoria dei sistemi all’economia, e si può senz’altro dire di Graziani che, pur sviluppando principalmente il blocco monetario, ragiona in una logica macroeconomica di sistema. Di fatto, una delle sue conclusioni più keynesiane, ripetuta in vari scritti, è che, proprio a causa dell’integrazione della moneta, si crea un effetto sistemico per cui il tutto non è più la somma delle parti[8]. La moneta è cioè un elemento che spiega la “fallacia della composizione” messa in luce dall’analisi keynesiana[9]. Può essere utile ricordare a riguardo che la letteratura francese, che Graziani conosceva molto bene, ha da tempo identificato il carattere sistemico del circuito e in particolare Poulon (2015, pp. 9-94), uno dei fondatori del circuito, va fino ad opporre il “paradigma sistemico” del circuito a quello “insiemistico” dell’equilibrio generale[10].

1.1.2 Caratteristiche della moneta circuitista

Nel circuito di Augusto Graziani la moneta ha alcune caratteristiche importanti ed è utile ricordarne cinque.

1.1.2.1 Sequenzialità: Si tratta in primo luogo di una moneta inserita in una dinamica temporale all’interno della quale la sua definizione è triangolare (cf. §1.1.2.5), e quest’analisi dinamica è un’analisi sequenziale nel tempo storico. In questo, il circuito di Graziani è diverso dal circuito di Schmitt (1984), che si svolge nel cosiddetto tempo quantico, ed è molto vicino e simile a quello di Alain Parguez (1996 e, con Seccareccia, 2000). Una delle conseguenze di questa sequenzialità è che esiste una causalità che è per lo più esclusa dai modelli simultanei e che in linea di principio è possibile solo nei modelli sequenziali. A rigore la possibile causalità dovrebbe essere una premessa logica per discutere l’effetto di uno strumento di politica economica (variabile che si vorrebbe idealmente esogena) su una variabile obiettivo (che dovrebbe essere endogena) [11].

1.1.2.2 Focalizzazione sul singolo periodo: In questa dinamica, Graziani si concentra su un periodo singolo che analizza e scompone nelle sue fasi, che sono anch’esse sequenziali, e in queste fasi la moneta si trasforma prima in reddito e poi in consumo e risparmio. Questa scomposizione illustra la duplice natura di flusso e di stock della moneta (Graziani, 1996 e 2002). Al termine del singolo periodo, ci può essere sia la situazione di equilibrio che è descritta nell’articolo del 1984, Moneta Senza Crisi (Graziani 1984b), o quella “di crisi” che è descritta nell’introduzione al libro del 1980 della Costabile su Malthus[12]. La differenza che corre fra le due è che nel primo caso la moneta creata all’inizio del circuito è interamente distrutta al suo termine, mentre nel secondo non lo è. In entrambi i casi, finito il periodo “singolo”, seguono altri periodi; quindi, a seconda che il primo periodo sia finito in equilibrio o in crisi, il periodo successivo comincia “in equilibrio” o in crisi e in tal caso può generare più facilmente una dinamica “dello squilibrio”[13].

1.1.2.3 Legame con la distribuzione dei redditi: Nel circuito c’è anche un legame con la distribuzione dei redditi, perché la moneta viene creata come reddito. Come per gli economisti classici, la distribuzione del reddito coinvolge le classi sociali; quindi, c’è in Graziani un rifiuto radicale dell’individualismo metodologico, che è la ragione fondamentale della sua critica all’approccio mainstream. Una delle conseguenze indirette di quest’approccio al problema è che, consolidando i profitti a livello di imprese, quindi di classe capitalistica, questi si annullano e il profitto si rivela essere un puro trasferimento.

1.1.2.4 Causalità dell’investimento sul risparmio: Va sottolineato anche che il circuito recepisce l’ipotesi classica che il salario è pagato in anticipo (Graziani, 1994); quindi, c’è un “fondo salario” che nei fisiocratici e negli economisti classici era il grano accumulato nel periodo precedente, ma che diventa invece con Schumpeter e i circuitisti che in questo lo hanno seguito, una creazione di potere d’acquisto monetario fatta dalle banche ex novo, che ribalta la causalità fra risparmi e investimenti. Se in una società agricola bisognava accumulare prima un risparmio reale (il grano) per poter pagare i salari in anticipo, nella società industriale retta da un’economia monetaria questo non è più necessario. Con la creazione monetaria è la spesa che crea il risparmio, aspetto Keynesiano per eccellenza, che è anche il punto di partenza della teoria dei profitti di Kalecki (1942)[14]. La causalità tra investimenti e risparmio corrisponde dunque logicamente alla causalità dei prestiti sui depositi.

1.1.2.5 Scorporo delle banche dal resto del settore produttivo privato: Infine, un altro contributo logico fondamentale del circuito su cui insiste molto Graziani è la separazione in due del settore privato tra settore bancario che produce moneta, e settore non-bancario che la usa[15]. Senza separazione fra banche e imprese è difficile integrare la moneta in un modello macroeconomico e questo problema riguarda sia l’analisi neoclassica che quella neokeynesiana (incluso Patinkin). Graziani ricorda infatti che, qualsiasi sia la ragione per cui alla fine si detengono delle scorte liquide (pagamento o transazione), il riflusso completo che avviene alla chiusura del circuito nel caso senza crisi (distruzione totale delle liquidità create nell’efflusso iniziale che finanzia la produzione), corrisponde a una variazione nulla di tali scorte, condizione sulla quale Graziani costruisce un’ipotesi di equilibrio monetario nel circuito. Al contrario, la costanza delle scorte liquide rimane implicita in qualsiasi trattazione macroeconomica classica o neoclassica che, prendendo come periodo di riferimento un lasso di tempo di durata superiore a quello entro il quale la moneta nasce muore e scompare, fa astrazione della moneta stessa. In tal caso si escludono ab initio le variazioni delle scorte monetarie, trasformando così la loro nullità, che Graziani presenta come una possibile condizione di equilibrio, in un’identità[16].

Senza questa disaggregazione del settore privato rispetto alla produzione e all’uso della moneta non ci può essere moneta triangolare, cioè moneta nel senso circuitista[17], la quale è normativamente una moneta “senza signoraggio”. Quando esiste, cioè fuori dall’equilibrio a liquidità invariata, questo signoraggio può essere solo “privato”, poiché non c’è settore pubblico nel modello canonico di Graziani. Come ha giustamente osservato Riccardo Bellofiore in diverse occasioni, questo è uno dei pochi punti in cui il circuito di Graziani differisce da quello di Parguez.[18]

1.2 Il modello canonico del circuito monetario di Graziani

1.2.1 Presentazione del modello

Fatte queste considerazioni generali, si può presentare un modello che si può definire “canonico” del circuito monetario di Graziani e che, come osservato precedentemente, esclude sia il settore pubblico che il settore estero. Queste ed altre ipotesi semplificatrici (la cui scelta è brillante a giudizio di chi scrive) permettono a Graziani di mettere a fuoco gli elementi pregnanti del problema dell’integrazione della moneta. Infatti, nel modello così semplificato le famiglie possono risparmiare solo in contante o in titoli emessi dalle imprese e quindi l’allocazione del risparmio si fa all’interno del solo settore privato fra passività bancarie liquide e passività delle imprese a più lunga scadenza. La semplificazione chiarisce anche perché la moneta triangolare necessita la scissione del settore produttivo privato in banche e imprese produttrici di beni.

Nella fase di efflusso, le imprese chiedono alle banche di creare liquidità monetaria per un valore equivalente ai salari da distribuire, che utilizzano per pagare il lavoro occorrente per la produzione di beni di consumo e di beni d’investimento. Le famiglie, che sono il terzo apice del triangolo produttivo dell’economia monetaria di produzione, vengono pagate coi salari, che diventano così creazione monetaria di valore, cioè reddito, prima di trasformarsi in consumo e risparmio. Come nello schema della riproduzione marxiana ripreso anche da Kalecki (1942), il fatto che il monte salari possa essere speso solo per l’acquisto di beni di consumo, implica logicamente che questi ultimi siano acquistati e venduti a un prezzo superiore al loro costo di produzione.

Cosa succede all’interno del periodo singolo del circuito? I capitoli IV a VI del testo del 2003 sulla Teoria Monetaria della Produzione danno una risposta in 14 equazioni che sono esposte nel riquadro che segue[19]. In questa versione del “blocco macro-monetario e finanziario” di Graziani, ci sono 9 variabili esogene, cioè quelle che sono considerate come date durante il periodo, e 14 variabili endogene determinate da 14 relazioni. La maggior parte delle variabili esogene, sono decise dalle imprese e dalle banche. Tra queste, le variabili cruciali sono il livello totale dell’impiego N, il tasso reale di investimento b, definiti dalle imprese, e il salario w e la produttività π che, essendo dati, presuppongono implicitamente un orizzonte di breve periodo, che intuitivamente si può far coincidere col ciclo annuale della produzione.

Scegliendo un livello dato di occupazione N, le imprese fissano anche il livello della produzione reale e, definendo la quota del prodotto destinata all’investimento reale b, decidono anche la proporzione di lavoratori che destinano alla produzione di beni di consumo piuttosto che a quella di beni di investimento. Nel circuito le decisioni delle famiglie sono quindi subordinate a quelle delle imprese, poiché queste ultime, come illustrato nello schema di Graziani, decidono sia il livello della produzione (via N), che quello della distribuzione (via b), e attraverso quest’ultimo il livello dei prezzi (p) [20].

Come si vede dalla prima relazione, la ripartizione del prodotto (o del lavoro, dato che anche la produttività è data) fra consumo e investimenti, determina il livello dei prezzi, che risulta uguale al prodotto di un margine di profitto, dato dal rapporto tra la propensione al consumo e uno meno la propensione all’investimento reale, moltiplicato per un termine di costo unitario, dato dalla somma del costo del lavoro e del costo dell’interesse per unità di prodotto. Questa relazione di prezzo è centrale perché determina la distribuzione dei redditi che, come osserva Graziani, il circuito riprende da Kalecki (1942)[21].

Figura 1:Blocco macro-monetario e finanziario nel modello canonico del circuito di Graziani

È opportuno soffermarsi sul significato del margine di profitto nella dinamica temporale che intercorre fra finanza iniziale e finanza finale nel circuito di Graziani, che, va ricordato, si fonda sulla sua lettura del finance motive di Keynes (Graziani, 1984c e 1987)[22]. Mario Seccareccia (2004) ha sottolineato le origini wickselliane del circuito di Graziani in un suo notevole contributo a un volume in onore di Graziani che contiene anche diverse altre analisi circuitiste di grande interesse. Le idee di Wicksell, per cui si rimanda anche a Bellofiore (1998), hanno influenzato “equilibristi generali” come Hayeck e Lindbeck, ma anche il Keynes del Trattato sulla Moneta che, come dimostra Seccareccia e come ha sostenuto anche Graziani (1981), è sostanzialmente coerente col Keynes della Teoria Generale. Seccareccia ha inoltre sollevato a diverse riprese un’interessante obiezione sul markup fisso che appare nella relazione di prezzo (1) che Graziani deriva dall’uguaglianza fra domanda e offerta globale. Secondo lui, in un modello propriamente post-keynesiano, il markup dovrebbe essere variabile e non fisso (Eichner, 1973) e, soprattutto, non dovrebbe derivare da un’eguaglianza “walrasiana” fra domanda e offerta globale. Se quest’obiezione ha molti meriti, non inficia però il fatto già rilevato che nel circuito, come nell’analisi di Sraffa, sono le imprese a decidere e non i consumatori. Infatti, una volta concordato il valore monetario iniziale della produzione con le banche, le imprese fissano anche le altre variabili della produzione e della distribuzione ad eccezione del risparmio delle famiglie e della frazione di quest’ultimo detenuta sotto forma liquida. È peraltro solo il risparmio liquido delle famiglie che rappresenta per loro un problema, perché genera un uguale indebitamento addizionale nei confronti del settore bancario, che è a sua volta per loro una perdita di reddito reale. Le imprese sono invece indifferenti al risparmio delle famiglie sotto forma di titoli, poiché, dato che controllano sia i prezzi che la distribuzione, possono ripercuotere su di loro l’intero costo degli interessi sui titoli, fissando il tasso di interesse sulle obbligazioni a un valore sufficientemente alto per compensare quello che le banche offrono sui depositi. Viceversa, per quanto riguarda le loro relazioni con le banche, le imprese sono costrette a prelevare il pagamento degli interessi sui propri profitti e ciò comporta per loro una perdita di reddito reale, come si evince dalla relazione (9). Questo sottolinea un aspetto essenziale del circuito che è che all’interno del periodo di produzione, che è anche quello della creazione-distruzione totale di moneta nel caso senza crisi, avviene una redistribuzione del valore-salario iniziale della produzione finanziato dalla moneta credito fra quella che poi diventa al momento della finanza finale la ripartizione fra salari, profitti e interessi[23]. Inoltre, se è vero che nel periodo compreso fra la finanza iniziale e la finanza finale le imprese determinano un markup che è effettivamente fisso, dato che questo periodo è di durata arbitraria, si può fare tendere a zero, permettendo al limite un aggiustamento continuo del markup e quindi, in sostanza, una sua variabilità temporale. Al di là di quest’aspetto meramente formale, il punto di sostanza resta che nel modello di Graziani sono le imprese a fissare sia il livello che la composizione del prodotto e dell’occupazione e, dato che quest’ultima fissa il markup, hanno in mano tutte le leve della decisione. Il fatto che il livello del markup si deduca eguagliando domanda e offerta globale, anche se compatibile con Hayeck o Walras, è soprattutto un’applicazione del concetto di domanda effettiva di Keynes[24].

Di fatto, generalizzando su basi Kaleckiane l’ipotesi di mercati competitivi accolta da Keynes, nel modello di Graziani le imprese possono fissare i prezzi su basi oligopolistiche e disporre in pratica della stessa capacità di determinare prezzi e quantità di quella che avrebbero in caso di monopolio puro.

Come sottolinea Graziani (2003, pp. 103-104) è chiaro dalle relazioni (7)-(9) sui profitti, che: (i) il tasso di profitto può, come in Kalecki, essere positivo, solo quando le imprese investono più di quanto le famiglie non risparmiano (b>s); (ii) i profitti monetari dipendono direttamente dal livello dei prezzi e aumentano con il tasso di interesse che le imprese pagano alle famiglie sui titoli iB, che è a sua volta funzione di iL e iD; e iii) i profitti reali non dipendono dal tasso di interesse iB che le imprese pagano sui titoli che vendono alle famiglie, ma, attraverso l’aumento dei prezzi, si riducono in funzione del tasso di interesse pagato alle banche iL che è un trasferimento di reddito reale. Quando la propensione all’investimento e la propensione al risparmio coincidono (b=s), i (sovra-)profitti si annullano e ci si trova nel caso della concorrenza perfetta. Nel caso di risparmio delle famiglie nullo (s=0), “i capitalisti guadagnano quello che spendono mentre i lavoratori spendono ciò che guadagnano”[25].

Le relazioni (10) – (14) illustrano la formazione dei tassi di interesse in base all’eguaglianza fra domanda e offerta di risparmio al momento di chiusura del circuito. La relazione (10)[26] traduce quest’eguaglianza sotto un’ipotesi ragionevole sulla specificazione dell’offerta e della domanda di titoli[27] e, una volta verificata, consente alla (12) di determinare sia la domanda che l’offerta di risparmio. La (10) implica che, perché si abbia eguaglianza fra offerta e domanda di risparmio, una volta fissato il tasso di interesse iD pagato dalle banche sulle scorte liquide, il tasso di interesse iB sui titoli emessi dalle imprese si determina come funzione lineare di iL quando a e b sono dati, livello che non corrisponderà necessariamente alla piena occupazione. Se, oltre a questo, si ammette che tutto il risparmio delle famiglie è investito in titoli emessi dalle imprese (bd=1), si ha anche una variazione nulla delle scorte liquide che può essere considerata in prima approssimazione una condizione per l’equilibrio finanziario delle imprese (Graziani, 2003, p. 125)[28].

Le 14 variabili endogene: B, C, iB, Im, Ir, p, r, P, Pr, X, Y, ΔL, dD, S, sono determinate dalle relazioni (1)-(14) e dalle variabili esogene, come riassunto nel riquadro che segue. Le esogene[29] comprendono due variabili macroeconomiche “strutturali”: la produttività p e il salario w. Oltre a queste, ci sono sette variabili di decisione, delle quali due sono determinate dalle famiglie: il tasso di risparmio s e la preferenza per la liquidità b. Le altre sono determinate dalle imprese: l’impiego totale N, la propensione reale all’investimento b e il coefficiente di preferenza per il credito delle imprese m; o dalle banche: il tasso di interesse pagato dalle imprese sui prestiti iL e il tasso di interesse pagato dalle banche sui depositi iD.

Figura 2: Lista delle variabili esogene e endogene del modello

1.2.2 Alcune simulazioni numeriche

Per illustrare il comportamento del modello di Graziani durante il periodo singolo a cui fa riferimento, si presentano alcune simulazioni dando dei valori virtuali alle variabili e ai parametri esogeni che determinano una soluzione centrale che viene poi confrontata con quella ottenuta modificando una sola delle esogene alla volta. Questa seconda soluzione corrisponde a una “derivata parziale” del sistema rispetto a un cambiamento di una sola delle esogene in prossimità della soluzione centrale. Tale sensibilità illustra la meccanica del modello (che è diversa da quella del modello neoclassico). Non pretende fornire una descrizione realistica di cosa accadrebbe se nella realtà la variabile esogena si modificasse come indicato. Lo scopo non è infatti l’uso del modello per la formulazione di proiezioni o scenari, ma la comprensione delle sue proprietà. In simulazioni realistiche altre esogene si muoverebbero insieme all’esogena considerata e quindi eventuali scenari alternativi dovrebbero calcolare l’effetto del cambiamento di varie esogene contemporaneamente.

1.2.2.1 Simulazione di riferimento: Se si danno i valori seguenti alle variabili e ai parametri esogeni si ottengono i valori riportati nel riquadro di destra per le variabili endogene[30]:

Figura 3: Valore delle esogene e delle endogene nella soluzione di riferimento1.2.2.2 Variazione esogena di N: Partendo da questa soluzione di riferimento, se si fa variare l’occupazione totale da 700 a 1400 si può vedere nelle tre simulazioni descritte nei grafici che seguono che le variabili distributive (S, P, Im, B, L aumentano proporzionalmente mentre i principali parametri finanziari (bd, iB, r) e in particolare il tasso di profitto restano immutati. Il grafico non è riprodotto, ma anche i prezzi restano immutati, mentre, nella logica Keynesiana del circuito sia il consumo che il reddito reale delle famiglie aumentano immediatamente per effetto dell’aumento dell’attività.

Grafico 1: Sensibilità a una variazione del livello di occupazione N deciso dalle imprese [700-1400]

1.2.2.3 Variazione esogena di b: La simulazione successiva è relativa a una variazione del tasso di investimento reale b fra 0.2 e 0.5 e illustra che gli effetti di questa variazione passano principalmente attraverso il tasso di profitto reale e i prezzi, che aumentano fortemente.

Controllando i prezzi, le imprese, che privilegiano l’autofinanziamento, li aumentano e così aumentano sia i profitti nominali che l’investimento in valore monetario. Al contrario sia il consumo reale che il reddito reale delle famiglie si contraggono a causa dell’aumento dei prezzi, poiché in questa variante non ci sono né aumenti salariali, né l’aumento della produttività che in uno scenario realistico sarebbero contestuali a un aumento degli investimenti. Questo conferma però che la meccanica del modello consente alle imprese di finanziare un aumento degli investimenti attraverso una diminuzione del reddito e del consumo reale delle famiglie. Dal punto di vista della politica economica non basta quindi creare le condizioni per aumentare i profitti e gli investimenti, ma bisogna anche aumentare i salari e la produttività perché aumenti il benessere collettivo. In conclusione, attraverso b si modifica il livello dei prezzi, il tasso di investimento, il tasso di profitto e quindi il tasso di autofinanziamento.

Grafico 2: Sensibilità a una variazione del tasso di investimento b [0.2-0.5]

1.2.2.4 Variazione esogena di s: Facendo variare il tasso di risparmio delle famiglie s tra il 5% e il 25% si osserva che risparmio, titoli detenuti e liquidità aumentano, mentre i profitti diminuiscono e gli investimenti nominali restano costanti.

Grafico 3: Sensibilità a una variazione del tasso di risparmio s [5%-25%]

Scende anche il tasso di profitto reale per effetto dell’aumento dei prezzi. Alla fine, mentre il consumo nominale e quello reale restano pressoché costanti, il reddito reale aumenta per effetto dell’aumento del risparmio che gonfia la ricchezza detenuta in titoli e, dato il contestuale aumento della liquidità, determina un maggiore indebitamento delle imprese presso le banche.

1.2.2.5 Variazione esogena di p:  Facendo variare la produttività π tra 1.1 e 1.5 l’effetto meccanico si ha sui prezzi, che diminuiscono facendo aumentare il consumo e il reddito reale. Viceversa, le variabili nominali e monetarie restano costanti.

Grafico 4: Sensibilità a una variazione del tasso di produttività p [1.1-1.5]

1.2.2.6 Variazione esogena di w: Facendo variare il salario nominale w tra 8 e 12 il primo effetto si fa sentire sui prezzi, che aumentano fortemente.

Grafico 5: Sensibilità a una variazione del salario w [8-12]

Tutte le variabili nominali di conseguenza crescono, mentre i parametri finanziari restano costanti, come anche il consumo e il reddito reale delle famiglie, i cui grafici non sono riprodotti.

1.2.2.7 Variazione esogena di μ:  Se si esamina l’effetto di una variazione del coefficiente di preferenza delle imprese per il credito bancario m facendolo variare fra 0.13 e 0.33 si vede che le imprese prendono più prestiti a scapito delle obbligazioni B che emettono presso le famiglie. Dato che i tassi di interesse sui prestiti si presumono costanti, l’aumento dell’indebitamento riduce i profitti nominali e gli investimenti. Tuttavia, il tasso di profitto resta costante, mentre diminuiscono sia il tasso di interesse sulle obbligazioni che la quota di risparmio che le famiglie detengono sotto forma di titoli. La riduzione del tasso di interesse sul debito delle imprese verso le famiglie provoca una riduzione dei prezzi, che spiega la riduzione nominale delle variabili nominali (consumo, investimento e risparmi). Il consumo e gli investimenti diminuiscono in termini nominali, ma in termini reali sia il consumo che il reddito restano costanti (grafico non riprodotto).

Grafico 6: Sensibilità alla variazione del coeff. di preferenza delle imprese per il credito bancario m [13%-33%]

1.2.2.8 Variazione esogena di β: Facendo variare il coefficiente di liquidità delle famiglie b fra 0.25 e 0.45, anche qui lasciando costanti sia il tasso di interesse sui depositi iD e quello sui prestiti iL, il tasso di interesse consentito dalle imprese sui loro titoli iB aumenta, e aumenta ancora più rapidamente la domanda di titoli, mentre non muta il tasso di profitto. I prezzi rimangono costanti, cosi come i profitti nominali, il risparmio e gli investimenti, mentre il risparmio investito in titoli aumenta a scapito dei maggiori prestiti che le imprese prendono dalle banche. Il consumo e il reddito reale non mutano, né cambiano i loro livelli nominali.

Grafico 7: Sensibilità a una variazione del coefficiente di liquidità delle famiglie β [0.01-0.2]

1.2.2.9 Variazione esogena di iL: Infine si considera l’aumento del tasso di interesse sui prestiti alle imprese iL dall’uno al cinque percento.

Grafico 8: Sensibilità a una variazione del tasso di interessi sui prestiti delle banche alle imprese iL [1.0-1.05]

Si vede sui grafici precedenti che, dato che si suppone la costanza degli altri parametri monetari esogeni (propensioni alla liquidità delle imprese e delle famiglie), il principale effetto di un aumento di un tasso di interesse sui prestiti alle imprese è quello di aumentare il tasso di interesse che le imprese offrono sulle proprie obbligazioni. Così facendo, le imprese compensano la riduzione dell’indebitamento verso le banche (ΔL) che è provocata dal maggior costo dell’interesse, con l’aumento del debito delle imprese verso le famiglie. Tramite l’equazione dei prezzi, le imprese neutralizzano ogni effetto reale cosicché non cambiano sostanzialmente né il risparmio delle famiglie, né i profitti, né gli investimenti monetari. Non ci sono quindi neanche effetti reali sul consumo e sul reddito delle famiglie perché i loro valori nominali sono aggiustati all’inflazione.

1.3 La chiusura del circuito e la doppia condizione di equilibrio reale e finanziaria

Al termine del capitolo VI, Graziani (2003) osserva che nel circuito ci sono due condizioni di equilibrio che determinano il livello di disoccupazione e che investono le variabili monetarie del modello e i tassi di interesse.

Per vederlo, si può partire dalla relazione (10) che determina il tasso di interesse sui titoli emessi dalle imprese iB che congiuntamente con (12) permette loro di recuperare la proporzione bd della domanda di risparmio che risulta dalle preferenze per la liquidità dei consumatori (β), quelle per il credito delle imprese (μ) e dai tassi di interesse sui depositi iD e quelli sui prestiti alle imprese iL. Come già osservato, se sono dati i coefficienti di comportamento b e m e il tasso di interesse pagato dalle banche sui depositi iD, la (10) esprime una relazione lineare fra il tasso di interesse sui prestiti che le banche consentono alle imprese e il tasso che le imprese offrono ai risparmiatori sui titoli che emettono. La figura 4 qui sotto[31] illustra questa relazione che è una retta nel piano cartesiano di ascissa iL e di ordinata iB. Supponendo che la situazione iniziale rifletta condizioni di piena occupazione e quindi la retta di inclinazione β1 (linea blu) corrisponda all’equilibrio del mercato dei capitali con piena occupazione, ponendo la condizione aggiuntiva bd=1, si può calcolare il valore della coppia (iB,iL) tale per cui tutto il risparmio delle famiglie sarà investito in titoli, situazione che può essere interpretata come un equilibrio monetario dinamico per le imprese, perché corrisponde alla costanza delle scorte liquide detenute dalle famiglie, e quindi a una quantità di moneta invariata, ipotesi che, come osserva Graziani, sono anche quelle accolte da Keynes nella Teoria Generale.

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Figura 4: Dinamica della variazione della preferenza per la liquidità

Con i parametri considerati nella figura 4, questo felice connubio si realizza al punto C quando le banche fissano il tasso di interesse iL sui prestiti all’8.16%. In tal caso, le imprese fisseranno il tasso che pagano sui titoli detenuti dalle famiglie a iB=11.4%. Questo punto C nel grafico a sinistra, corrisponde alla piena occupazione (per ipotesi) e alla costanza delle scorte liquide (per il valore particolare scelto per la coppia dei tassi di interesse), una combinazione di eventi che logicamente dovrebbe incitare le imprese a mantenere la piena occupazione nel periodo successivo. Se però durante il periodo di produzione il coefficiente di preferenza per la liquidità cambia, ed aumenta ad esempio da β1 a β2, la retta che dà gli equilibri del mercato dei capitali ruota verso l’alto (linea arancio) e non coinciderà più col pieno impiego. Se allora le banche lasciano invariato il loro tasso sui prestiti iL all’8.16%, il nuovo tasso sui titoli si assesterà al 16.7% (punto C’), e questo aumento sarà accompagnato da una riduzione del coefficiente di preferenza per i titoli bd, dei titoli stessi B e da un aumento della liquidità ΔL e dei prestiti. È quindi plausibile che all’inizio del periodo successivo le imprese cha hanno subito un trasferimento reale di reddito verso le banche saranno portate a ridurre la produzione e l’impiego.

Il circuito mostra quindi che ci sono due condizioni di piena occupazione delle quali l’economia Keynesiana tradizionale considera solo la prima: i) il tasso di interesse e il livello dell’investimento devono permettere la piena occupazione, come usualmente richiedono i modelli Keynesiani; ii) ci dev’essere un equilibrio finanziario fra banche e imprese la cui mancata realizzazione può essere causa di disoccupazione, fatto che non può essere esplicitato se non si scinde in due il settore privato isolando le banche (Graziani, 2003 p. 128)[32]. Questo spiega perché la piena occupazione è estremamente instabile dal punto di vista della successione dinamica dei singoli periodi. La dinamica prefigurata da Graziani è, come in Kalecki, quella di una successione di squilibri di breve periodo. Prevale quindi il caso “malthusiano” di chiusura del circuito “con crisi”.

2. Cenni sulla pertinenza empirica del circuito

In questa sezione si riportano i risultati di lavori svolti in passato finora non pubblicati e si presentano dati più recenti sull’evoluzione di alcuni aggregati macro-finanziari relativi a verifiche empiriche del circuito.

2.1 Uno studio del 2008

Nel 2008 l’Istituto Bei finanziò uno studio svolto presso l’università di Nizza nel quale la teoria del circuito monetario fu sottoposta a test empirici fatti sui paesi di Visegrad (Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria) e la Turchia con gli strumenti econometrici in voga all’epoca. La ricerca confermò la validità del circuito monetario. Cinque ipotesi furono sottoposte a stima econometrica per i paesi Visegrad e i risultati sono riassunti nel riquadro che segue.

Figura 5: Sintesi dello studio Starebei del 2008

Su base di quest’esperienza si può dire che una delle difficoltà dei test empirici sul circuito monetario è che non si osserva la finanza iniziale (si veda anche la sezione 2.3). Sotto certi aspetti si potrebbe dire che la finanza iniziale è la somma dei salari, sotto altri aspetti si può dire che è il PIL, cioè (circa) la somma dei redditi da lavoro e da capitale, anche se entrambi gli aggregati in contabilità nazionale sono osservati a chiusura dell’esercizio e hanno quindi a che fare con la finanza finale. In realtà non c’è una variabile osservabile che corrisponde esattamente al concetto di finanza iniziale. Occorrerebbe quindi integrare meglio nelle stime quello che si chiama il processo generatore dei dati (Hendry & Richard [1983] 1993), cosa che non è sempre facile.

2.2 La creazione di moneta e la dinamica dei salari e della ricchezza finanziaria[33]

Per definizione, non essendo neutra rispetto alla formazione del valore, la moneta circuitista può incidere sui prezzi relativi. In particolare, l’eventuale finanziamento monetario della speculazione può favorire la crescita più rapida del valore di mercato delle attività finanziarie relative al circuito del risparmio accumulato, piuttosto che quello delle attività legate alla generazione dei redditi correnti e in particolare i salari. Il circuito può così illustrare e spiegare la finanziarizzazione, che, anche se è un concetto discutibile che andrebbe precisato (Toporowski & Mitchell, 2013&14), resta uno dei fenomeni macro-finanziari più macroscopici degli ultimi decenni.

Infatti, una volta accettata la definizione di moneta come passività “terza” emessa dalle banche per fare i pagamenti, si capisce anche che la moneta deposito che viene creata al momento del prestito e viene distrutta quando il prestito è rimborsato può essere prestata nel frattempo per finanziare l’acquisto di titoli reali e finanziari e quindi influenzare il loro prezzo. Inoltre, esulando dal quadro semplificato del modello canonico del circuito, all’interno del periodo di produzione, la moneta può anche essere creata dalle banche per l’acquisto di titoli, e quindi potenzialmente svolgere un ruolo speculativo[34].

I grafici che seguono illustrano le evoluzioni divergenti dei prezzi relativi delle attività finanziari e dei flussi legati alla creazione del reddito, la cosiddetta inflazione del prezzo degli attivi (Toporowski, 2000), e possono essere interpretati in chiave circuitista.

Grafico 9: Salari, interesse e attivi finanziari USA 1954-2016

Se prendiamo ad esempio il caso degli Stati Uniti nel Grafico 9, comparando l’evoluzione a lungo termine di un paniere di beni salariali e di un paniere di beni finanziari si osserva che l’indice salariale ha perso terreno permanentemente rispetto a quello finanziario. Se un lavoratore avesse avuto 3 $ nel 1957[35] e li avesse investiti in un indice che fosse progredito allo stesso ritmo del valore dei salari nell’industria manifatturiera americana (linea marrone), nel 2016 avrebbe avuto 32 $. Se invece l’avesse investito in un indice che si fosse comportato come quello delle obbligazioni a lungo termine americane, nel 2016 avrebbe disposto di un capitale di 100 $ (linea blu). La cesura fra le curve blu e marrone avviene nel 1979-1980, anni a partire dai quali divergono, come confermato dall’evoluzione della linea verde, che illustra la differenza accumulata fra di esse e che diventa positiva a partire dal 1982. Le colonne in giallo rappresentano invece l’evoluzione del rapporto tra attività finanziarie e PIL negli Stati Uniti, che è passato da un valore inferiore a due fino agli anni Ottanta a un valore di circa cinque nel 2016. La finanziarizzazione si manifesta quindi nella forma di un aumento del valore degli stock finanziari rispetto ai flussi produttivi che riflette un’evoluzione negativa del prezzo relativo del lavoro. Lo stesso tipo di evoluzione si può osservare nel grafico che segue per il Regno Unito, con delle fasi temporali che sono però diverse.

Grafico 10: Salari, interesse e attivi finanziari UK 1960-2016

Se si prende un indice pari a una sterlina nel 1963 che avesse progredito come i salari orari nel settore manifatturiero inglese (linea marrone), nel 2016 questo avrebbe raggiunto un valore nominale di 46 UKP. La stessa sterlina del 1963, investita invece in un indice che fosse aumentato come il tasso a lungo termine sulle obbligazioni di Stato inglesi (linea blu nel grafico), sarebbe arrivata a valere 54 UKP nel 2016. La divergenza accumulata fra i due indici è rimasta negativa (cioè favorevole ai salari) tra il 1970 e il 1996 e ha toccato il suo minimo nel 1982, anno a partire dal quale ha cominciato a recuperare per diventare positiva nel 1996 e raggiungere il valore di circa 16 nel 2016. Per il periodo in cui i dati sono disponibili, che comincia nel 1979 il rapporto tra attività finanziarie e PIL che era di 1.85 nel 1979 è aumentato a 3.6 nel 1991, per salire a 15.1 nel 2008 ed è poi sceso a 11.7 nel 2016.

Grafico 11: Salari, interesse e attivi finanziari EZ 1973-2016

Infine, anche per quanto riguarda la zona Euro, i dati indicano che un Euro del 1973, investito in un indice che fosse cresciuto come i salari orari nel settore manifatturiero (linea marrone), nel 2016 avrebbe raggiunto il valore nominale di 11 Euro. Lo stesso Euro, investito in obbligazioni a lungo termine, avrebbe raggiunto un valore nominale di 20 Euro nel 2016 (linea blu). La divergenza accumulata fra i due indici è rimasta in territorio negativo dal 1973 al 1986 per poi eccedere 10% nel 1989 e raggiungere 48% nel 2016. Il rapporto tra attività finanziarie e PIL che era di 4.83 nel 1999, è salito a 6.88 nel 2016.

L’evoluzione sfavorevole del prezzo relativo del lavoro rispetto a quello di attività finanziarie come le obbligazioni a lungo termine documentata nei grafici precedenti è confermata quando si esaminano altre forme di destinazione del risparmio come fatto nel grafico 12 qui di seguito che esamina l’evoluzione dei prezzi relativi di varie attività finanziarie e reali confrontando il valore nominale di queste attività nel 2015 a quello che avevano nel 1995[36]. Si vede sul grafico che il valore del totale delle attività finanziarie è stato moltiplicato per 5.4, mentre quello dell’indice dei prezzi residenziali è stato moltiplicato per 3.5, quello degli attivi fissi (investimento reale) per 2.6, quello delle obbligazioni a lungo termine per 2.3 e quello delle azioni per 2.0. A confronto, l’indice basato sul PIL nominale assume nel 2015 un valore che è 2.2 volte quello del 1995 e per quello dei salari orari questo rapporto è 1.9. Si vede quindi che la crescita del valore delle attività finanziarie è stata molto più veloce di quella del valore dei flussi legati alla produzione corrente.

Grafico 12: Confronto fra diversi indici finanziari 1995-2015

In particolare, le attività finanziarie sono cresciute più velocemente del PIL al punto che il loro valore si è più che duplicato rispetto al PIL (2,2). Per gli attivi fissi, indicativi dell’evoluzione del valore dell’investimento “reale”, questo rapporto è invece di 1,2. Nello stesso periodo i salari nominali sono invece cresciuti meno rapidamente del PIL per cui hanno perso ancor più di quest’ultimo rispetto alle attività finanziarie.

Questi grafici documentano come nel corso degli ultimi decenni vi sia stato in parallelo un aumento del peso delle attività finanziarie rispetto al PIL e un’evoluzione sfavorevole della distribuzione dei redditi a scapito del lavoro. Non è questa la sede per entrare nel dettaglio di queste evoluzioni né per proporre un modello formale che le spieghi su basi circuitiste, ma la sostanza è abbastanza intuitiva: se si ammette che le banche o il sistema finanziario nel suo complesso possono creare liquidità (e/o quasi-liquidità) senza veri e propri limiti, è logico che questa si orienti verso le attività a rendimento più elevato. Se inoltre il sistema permette un afflusso costante di nuova liquidità verso i mercati finanziari (Toporowski, 2000, pp. 31-41), si possono creare le condizioni per guadagni in conto capitale che si auto-alimentano e che eccedono qualsiasi rendimento offerto dall’accumulazione tradizionale.

2.3 Uno sguardo agli aggregati macro-finanziari più recenti

Per completare il quadro empirico, in questa sezione si esaminano i dati relativi agli anni più recenti. Come argomentato in precedenza, la difficoltà per la valutazione empirica del circuito è che non si osserva la finanza iniziale[37]. Si osservano invece vari aspetti della finanza finale, in particolare i debiti e le liquidità accumulati a fine periodo, nonché il risparmio. Dal punto di vista conoscitivo, il punto interessante è ovviamente quello della causalità dei prestiti sui depositi. Come già detto, in quest’ottica si deve considerare che l’acquisto di un titolo da parte delle banche ha lo stesso effetto che un prestito, cioè crea moneta, senza però creare necessariamente un reddito, e questo può contribuire a spiegare le manifestazioni del processo di finanziarizzazione[38].

Le banche, e più in generale il sistema finanziario, acquistando e vendendo titoli all’interno del circuito del risparmio, possono quindi aumentare il loro prezzo determinando un aumento del valore dei beni accumulati nel passato rispetto ai valori della produzione corrente.

Alcuni grafici estesi al periodo più recente permettono una rapida verifica indiretta di questa e di altre delle principali idee del circuito. Nel primo grafico si osservano il PIL e il valore dei prestiti all’attivo degli intermediari finanziari e monetari della zona euro. Si nota una certa corrispondenza. Nel secondo grafico si riportano invece le stesse variabili in variazione e anche qui c’è una certa corrispondenza, anche se non è perfetta.

Grafico 13: Area Euro – Prestiti e GDP nominale: livello (sinistra) e variazione(destra) 1990Q1-2021Q1

Il terzo grafico riguarda le passività emesse dalle imprese sia sotto forma di prestiti che di titoli e li confronta al monte salari aggregato negli ultimi 15 anni. Sono evidenziati due sottoperiodi nei quali la riduzione dei prestiti accesi dalle imprese ha determinato una decelerazione dei salari.

Grafico 14: Area Euro – Indebitamento imprese (sin.) e prestiti delle banche (destra) 1990Q1-2021Q1

Nel quarto grafico che riprende in stock e in variazione le due componenti dei prestiti e dell’acquisto di titoli all’attivo delle banche della zona Euro, si vede che l’evoluzione dei titoli detenuti e dei prestiti è stata abbastanza correlata, che sia in livelli o in variazioni.

Grafico 15: Area Euro – Indebitamento delle imprese: rapporto tra flussi e consistenze: 1990Q1-2021Q1

Un fatto notevole è che il rapporto fra flussi e stock nel corso del tempo è andato riducendosi, come si vede nel grafico 15 qui accanto, che descrive l’evoluzione del debito al passivo delle imprese: i prestiti (F4) in blu e i titoli (F3) in arancione, entrambi espressi in percentuale dei valori dei rispettivi stocks. Si può innanzitutto osservare che questa percentuale è bassa: il valore della moneta presa a prestito durante l’anno è stato dell’ordine del due percento rispetto al valore dei debiti e dei prestiti accumulati, ed è sceso all’un percento negli anni successivi al 2009. Si osserva dunque nel corso del tempo una riduzione del valore dei flussi rispetto agli stocks, che è compatibile con una spiegazione dell’aumento del prezzo relativo degli attivi finanziari che rappresentano la ricchezza già accumulata rispetto ai flussi come il salario.

Grafico 16: Area Euro – Depositi delle e delle imprese in % del PIL: 1990Q1-2021Q1

Questo ultimo aspetto è confermato nel grafico 16 a sinistra che mostra come il rapporto tra depositi e PIL per le famiglie e le imprese dell’area Euro è aumentato quasi costantemente negli ultimi 25 anni, di circa uno per cento del PIL per le famiglie e di 0,5 punti percentuali del PIL per le imprese. A conferma indiretta della pertinenza del circuito, l’ipotesi di nullità delle variazioni delle scorte liquide non è quindi verificata empiricamente (cf. §1.1.2.2 e §1.1.2.5).

In conclusione, i test econometrici condotti nel 2008 per i paesi Visegrad hanno validato empiricamente la teoria del circuito monetario per questi paesi, cosa a priori non del tutto ovvia, trattandosi di economie allora e forse tuttora in transizione. Peraltro, posto che ciò che differenzia il circuito dagli approcci mainstream è l’aggiunta di un terzo polo bancario che crea moneta in maniera autonoma in funzione della redditività dei flussi di liquidità scontati dei vari investimenti possibili[39], l’esame di vari indicatori conferma che la teoria del circuito monetario è utile per capire le principali evoluzioni macro-finanziarie recenti e in particolare la caduta del prezzo relativo del lavoro rispetto a quello del risparmio a lungo termine che è poi una delle manifestazioni più significative della cosiddetta finanziarizzazione. Questa è legata all’aumento del valore degli stock finanziari raggiunto attraverso finanziamenti a leva che li privilegiano rispetto ai flussi legati alla produzione come i salari, meno appetibili per la finanza iniziale.

3. Il legame con la teoria del valore

Oltre al suo interesse teorico discusso nella prima parte e la sua capacità pratica a descrivere e spiegare un certo numero di fatti empirici, discussa nella seconda parte, l’interesse del circuito è anche quello di fornire un legame con la teoria del valore, che, come nella Teoria generale di Keynes, è un valore espresso in unità di salario (Graziani, 1983b), punto più volte sottolineato da Bellofiore (1989, 2018). Si accenna brevemente in quest’ultima parte al fatto che questo legame può servire per costruire un’analisi costi benefici “eterodossa”, infatti la non-neutralità della moneta circuitista implica anche una distinzione logica fra prezzi di conto, da usare per valutare l’impatto sociale degli investimenti finanziati, e prezzi di mercato, espressi in contanti.

Dando per scontato che il risultato neoclassico del rendement social di Allais (1943, 1981) è corretto, la variazione di benessere associata a un cambiamento dell’economia è data sostanzialmente dal prodotto delle quantità “incrementali” ΔQ per un prezzo “di conto” PC:

ΔWelfare=PC*ΔQ

Per Allais, questo prezzo deve essere quello di mercato, che si suppone uguale al prezzo neoclassico di equilibrio[40], ma in altri approcci può essere prezzo diverso. Ad esempio, la moneta endogena, che nel circuito è non-neutrale, porta a rifiutare l’idea che i prezzi relativi di equilibrio neoclassici possano essere dei prezzi di mercato. DQ è invece un “fatto” empirico da accertare caso per caso. Il problema per la valutazione sta nel come si calcola PC.

Il circuito si fonda sull’eguaglianza temporale e istantanea tra il valore V(Xt) della produzione Xt realizzata in un lasso di tempo e il valore dei redditi monetari creati per remunerare il lavoro impiegato a questo fine all’inizio di questo periodo. C’è quindi una corrispondenza temporale tra la moneta flusso creata al tempo t per fini produttivi ΔMt e il valore “sociale” V dei beni prodotti durante quel periodo: 

ΔMt  = V(Xt)=PC*ΔQ

relazione che somiglia a quella della teoria quantitativa della moneta ma che ha un’interpretazione totalmente diversa. Anche se non ci sono molti studi teorici né empirici che affrontano la questione da questo punto di vista, si possono prendere come punto di partenza i lavori di Vallageas (2010, 2018) che si propongono di correggere i prezzi “di produzione di mercato”, per il fatto per esempio che i profitti, nell’interpretazione di Schmitt a cui Vallageas si rifà sotto quest’aspetto, sono un puro trasferimento. La contabilità in “valore-salario” che egli sviluppa ha per effetto di correggere i prezzi di mercato e trasformarli in prezzi espressi in “valore-lavoro” e quindi apre una via che sotto certi aspetti si ricongiunge con l’auspicio espresso da Lesourne (1977) di sviluppare un’analisi costi-benefici espressa unicamente in termini di valore del tempo e che offre inoltre collegamenti suggestivi con la teoria classica del valore-lavoro [41]. Infatti, una volta chiarito meglio il legame fra valore della moneta creata per la produzione corrente e quello della moneta che finanzia l’acquisto di attività reali e finanziarie esistenti durante lo stesso periodo (cf. discussione nella seconda parte), lavoro che resta in gran parte da sviluppare, si può pensare a integrare gli schemi del circuito con quelli che discendono dall’interpretazione della teoria del valore-lavoro accolta da Pasinetti (Pasinetti & Garbellini, 2015). Questa linea di indagine si preannuncia laboriosa ma è molto interessante e potenzialmente feconda di risultati utili. Si può avvalere anche della riflessione avviata da tempo su questi temi da Riccardo Bellofiore (1989, 2018).

Conclusione

Nel modello del circuito monetario:

  1. Le banche e la moneta hanno esistenza e funzioni proprie. Il modello è particolarmente adatto a interpretare realisticamente fenomeni monetari legati a nuovi prestiti o impieghi.
  2. C’è un fondamento macroeconomico della microeconomia. “I prestiti creano i depositi” e altre proposizioni collegate, che implicano catene di causalità alternative per valutare gli effetti della politica economica monetaria e finanziaria, sono verificate e/o verificabili empiricamente. Il modello può servire anche a spiegare la formazione di rendite finanziarie.
  3. Al centro dell’analisi c’è il legame tra prestiti, moneta e distribuzione del reddito che è cruciale per capire gli effetti sociali della politica economica. Si sa che, fuori dall’equilibrio neoclassico, allocazione e distribuzione non sono indipendenti, ciò che richiede un’impostazione economica del problema della distribuzione che sia aperto rispetto ad analisi multidisciplinari che ne spieghino gli aspetti extra-economici. A questo scopo, il circuito suggerisce l’uso di quadro di riferimento basato sulla teoria del valore-lavoro per valutare l’effetto sociale delle operazioni bancarie.
  4.  
  5. Nella versione che ha sviluppato Graziani in maniera autonoma e originale[42], il circuito è compatibile con quello degli altri autori capostipiti dell’approccio che sono Schmitt, Parguez e Poulon che completano le sue analisi con risultati complementari (Cingolani, 2023).

In conclusione, per tutte queste ragioni, il circuito monetario è un approccio che appare ineludibile per valutare gli effetti economici e sociali dell’attività bancaria ed è quindi uno schema di indubbia utilità che va approfondito e sviluppato.

 

Sia consentito in chiusura un commento su come inquadrare il circuito nel resto della produzione scientifica e culturale di Augusto Graziani. Graziani è stato un economista completo col pallino della macroeconomia e un grande esperto di moneta e politica monetaria. Ha affrontato tutti i problemi più difficili della teoria economica armato della sua grande cultura e profonda conoscenza della storia del pensiero economico, nutrita dalla sua lettura attenta dei classici economici in lingua originale. Fin dall’inizio della sua carriera di docente, si è interessato ai problemi di analisi costi benefici (Graziani, 1961) con largo anticipo sui primi manuali che l’OCSE e la Banca Mondiale dedicheranno al tema alla fine degli anni Sessanta, restringendolo progressivamente al solo ambito neoclassico. Il suo rigore intellettuale lo ha portato a rigettare l’analisi neoclassica del capitale già nel 1965, contribuendo indirettamente e in maniera discreta a nutrire un dibattito importante e generalmente trascurato che ha coinvolto all’epoca i principali economisti neokeynesiani e post-keynesiani delle due sponde dell’atlantico (Graziani, 1965, discusso in Cingolani, 2016).

 

Ma la sua mente fertile non si interessava solo di questioni teoriche. Oltre a formare diverse generazioni di studenti, molto dei quali sono diventati a loro volta docenti o dirigenti in Italia e all’estero, dedicava grande attenzione alla storia (Graziani, 1975) ed è stato un cittadino fortemente impegnato nel dibattito politico e civile. In particolare, ha dedicato molte delle sue energie ad affrontare concretamente i difficili problemi dello svilluppo del Mezzogiorno italiano (Graziani, 2020) animando tra l’altro insieme a Rossi la celebre scuola di Portici (Costabile, 2004) che ha contribuito a formare una parte rilevante della classe dirigente economica nazionale.

È probabilmente dal confronto tra l’osservazione attenta della realtà nelle sue sfaccettature più problematiche e la sua profonda conoscenza della dottrina economica che è nata l’intuizione del circuito monetario che è uno dei suoi contributi più originali e fecondi. Come si è cercato di mostrare, questo schema offre una chiave semplice e rigorosa per ragionare sui fatti monetari e finanziari, che ha rilevanza empirica ed è fertile di possibilità di sviluppo future.

 


[1] Banca europea per gli investimenti. Le idee espresse lo sono a titolo personale. Testo scritto per il blog del sito dedicato ad Augusto Graziani (Blog Graziani) che rielabora una presentazione online per la Rete Italiana Post-Keynesiana nel quadro di una “Lezione sul pensiero di Augusto Graziani” organizzata con Riccardo Bellofiore l’ 8.4.2022 (IPKN Lezione Graziani). Il testo derivato da questa presentazione è stato poi discusso in un convegno a Bordeaux il 6-7 dicembre 2022 (“Circuit et modélisation macro-économique de la transition écologique: I. Fondements et actualité du circuit”). Versioni precedenti di questo testo hanno beneficiato di commenti e/o incoraggiamenti da parte di Riccardo Bellofiore, Eric Berr, Marcella Corsi, Jean-Paul Guichard, Marc Lavoie, Edwin Le Héron, Matthieu Llorca, Fréderic Poulon, Louis-Philippe Rochon, Sergio Rossi, Mario Seccareccia e Bernard Vallageas che sono calorosamente ringraziati. L’autore resta responsabile di tutti gli errori rimanenti. Versione datata 28 aprile 2023.

[2] In questa definizione, de Finetti non si sofferma sulla distinzione che si fa talvolta, specie nella letteratura antropologica, fra moneta e denaro. Si ringrazia Riccardo Bellofiore per avere segnalato all’autore che anche Graziani (1983a, p. 225) fa questa distinzione, che introduce per illustrare il concetto marxiano di moneta come equivalente generale, per cui Graziani contrappone la ricchezza in generale (denaro) alla ricchezza liquida (moneta). La distinzione tra i due concetti è importante e molto attinente al tema qui trattato, ma si può osservare che i principali dizionari italiani tendono a trattare moneta e denaro come sinonimi riprendendo l’uso della lingua parlata nella quale per denaro non si intende la ricchezza in generale. Comunque, accogliendo questa distinzione, le operazioni finanziarie hanno per oggetto scambi “in moneta contante”.

[3] Non è del tutto ovvio definire cos’è il mainstream (o pensiero egemonico) in economia, eccetto che come l’insieme di dottrine che più incidono sulle decisioni collettive. Un punto che in genere caratterizza tutti questi approcci, che a bene vedere sono molto diversi fra loro, è che tendono a interpretare normativamente i prezzi di mercato, e quindi considerarli come prezzi “naturali”, per cui la distribuzione dei redditi e delle ricchezze diventa un dato esogeno che esula di fatto dall’analisi economica. Riccardo Bellofiore ha osservato che le politiche odierne sono soprattutto ispirate alla scuola austriaca che è per lui eterodossa. Certamente molti degli autori “neo-austriaci” si considerano e vengono considerati eterodossi; tuttavia, Hayek resta pur sempre uno dei tre capostipiti dell’equilibrio economico generale moderno e quindi a giudizio di chi scrive la sua scuola si può annoverare nel mainstream. Peraltro, nella vulgata economica dominante si mescolano in un unico calderone elementi neoclassici, monetaristi e neo-austriaci, generando una confusione che rende il dibattito economico totalmente incomprensibile al pubblico non specialistico, ma uno dei pochi punti di accordo è appunto lo slogan: “You have got to get your prices right”.

[4] Nel testo si parla soprattutto di famiglie piuttosto che di lavoratori e di imprese piuttosto che di capitalisti seguendo la terminologia in uso in contabilità nazionale. Per quanto, come rileva Riccardo Bellofiore, questa terminologia non sia a rigore applicabile al modello di Graziani, dove i settori coincidono con le classi sociali degli economisti classici, il riferimento alla contabilità nazionale è giustificato perché da un lato lo sviluppo del circuito monetario è sempre stato molto legato ed ha influenzato quello della contabilità nazionale e dei flussi di fondi, specie nella tradizione francese (Denizet, 1972; Poulon, 2015, pp. 95-150, Berr & Monvoisin, 2023), e dall’altro qualsiasi verifica empirica del circuito poggia sui concetti e aggregati di contabilità nazionale.

[5] Nei modelli neoclassici che integrano le banche, queste svolgono un ruolo passivo di intermediazione fra il risparmio e l’investimento (Graziani, 2003, pp. 74-81). La moneta è uno stock la cui creazione è devoluta al solo settore pubblico che la effettua attraverso i suoi disavanzi di bilancio (Graziani, 1984a, p. 127). Da qui deriva l’idea che ha dominato le politiche economiche occidentali dopo gli anni Settanta di ridurre il deficit pubblico per evitare l’inflazione di origine monetaria. Come proposto da Milton Friedman, lo scopo era quello di stabilizzare la quantità di moneta in circolazione controllando il tasso di crescita della base monetaria, che avrebbe dovuto rimanere costante. Queste politiche sono state abbandonate abbastanza rapidamente perché si sono rivelate impossibili da mettere in atto, ma le idee che le sottendono restano dominanti, come testimoniano i dibattiti odierni sul ritorno dell’inflazione.

[6] In macroeconomia un modello si compone generalmente di un certo numero di equazioni che legano fra loro variabili diverse, alcune spiegate dal modello stesso, altre considerate come date. Un blocco all’interno di un modello corrisponde a un sottogruppo di equazioni che tratta fenomeni collegati, ad esempio il blocco del consumo, quello della produzione o quello dei prezzi e dei salari. In genere le equazioni di un blocco sono logicamente distinte dalle altre e la loro soluzione può essere esaminata separatamente da quella del resto del modello (Deleau e Malgrange, 1978). Nella generazione dei modelli macro-econometrici Keynesiani degli anni Settanta, che ha svolto un ruolo importante nella gestione economica delle “trente glorieuses”, il blocco monetario e finanziario era notoriamente il più carente. Constatata la difficoltà di questi modelli a spiegare la moneta e la macro-finanza, a partire dagli anni Ottanta si è pensato di escludere totalmente la moneta e le banche dai modelli macro-econometrici, come nei modelli cosiddetti DGSE (Dynamic Stochastic General Equilibrium Models) tuttora in uso presso diverse banche centrali e istituzioni internazionali. Un’alternativa più feconda sarebbe stata invece quella di seguire la via indicata da Graziani e introdurre la moneta all’interno di questi modelli a partire da una comprensione dettagliata del suo funzionamento, piuttosto che ignorarla. Va precisato a riguardo che, malgrado i loro limiti teorici, le proiezioni dei modelli DGSE possono comunque essere attendibili, e per questo vengono usati, dato che è sempre possibile calibrarli con una precisione data sui dati reali. Il problema è però che quando vengono usati per delle simulazioni in variante, trascurano quella parte ignota del meccanismo di trasmissione della politica monetaria che è incluso nel fattore di aggiustamento usato per calibrare il modello, che è poi il “residuo” (diverso da zero) usato in proiezione per ottenere la simulazione di controllo (“la previsione”), talvolta indicato anche come “add-factor”.

[7] Ovviamente né Graziani, né i principali circuitisti e post-keynesiani o i neoclassici lo hanno mai fatto.

[8] Al contrario e tipicamente nei modelli neoclassici, la macroeconomia è data dalla somma dei comportamenti microeconomici individuali (Malinvaud, 1956), il che preclude in ultima analisi ogni possibilità di disoccupazione involontaria. Per un collegamento con la controversia sul capitale, si veda Seccareccia (1982).

[9] Generalmente illustrata dicendo che non sono le stesse persone che risparmiano e che investono, che sono gli investimenti che creano i risparmi, o che il risparmio liquido del singolo, a lui benefico, è un danno per la collettività.

[10] La versione “insiemistica” o anche “topologica” si riferisce all’equilibrio generale di Arrow-Debreu ed è più astratta e usa una matematica meno comprensibile di quella tradizionale neoclassica di Walras e Pareto, basata su modelli a equazioni simultanee, ma conferma e specifica più rigorosamente il dominio di validità dei suoi risultati.

[11] Anche se i modelli simultanei sono usati regolarmente per discutere di politica economica, dato che tutto avviene allo stesso tempo, in realtà non si sa quale variabile causa quale altra, eccetto nel caso abbastanza raro in cui sono totalmente ricorsivi e quindi sequenziali sul piano logico (Pasinetti, 1965).

[12] L’autore è in debito con Riccardo Bellofiore per avergli segnalato questa introduzione, come quella altrettanto fondamentale al libro di Convenevole (Graziani, 1977).

[13] “Equilibrio” va qui inteso nell’accezione di “soluzione del modello” (Deleau & Malgrange, 1978) e quindi non significa necessariamente “prezzo=costo marginale”. Nel circuito quest’equilibrio può coincidere solo con la variazione nulla delle scorte liquide. L’autore è grato a Louis-Philippe Rochon per aver insistito sulla necessità di questo chiarimento.

[14] Sia consentita una piccola digressione. Le formulazioni originali della teoria di Kalecki in polacco e in tedesco precedono la Teoria Generale, ciò che ha fatto dire ad alcuni esperti che Keynes avrebbe “copiato” Kalecki su questo punto. Altri esperti obiettano che dato che Keynes non parlava né polacco, né tedesco, le scoperte di questi due maestri sono state indipendenti. L’autore è grato a Jean-Paul Guichard per avergli segnalato che se Keynes non avesse capito il tedesco, non avrebbe potuto scrivere il Trattato sulla Probabilità (che in effetti discute in dettaglio tutta la letteratura probabilistica e attuariale tedesca dell’Ottocento), e che le idee principali di Kalecki erano state presentate nel 1935 in francese a un congresso della società di econometria al quale Keynes aveva partecipato. Non si può quindi escludere che Keynes fosse venuto a conoscenza delle idee principali di Kalecki, anche se parlare di plagio è forse eccessivo.

[15] Graziani (1983 e 1984a) argomenta che questa separazione differenzia i due principali filoni della letteratura monetaria che si possono ricondurre a Fisher e Friedman da un lato, che sostengono che l’interesse monetario si adatta pienamente all’inflazione, e dall’altro a Wicksell, Keynes e Robertson, che contestano la veridicità dell’indicizzazione totale dei tassi di interesse all’inflazione.

[16] Per usare la tassonomia proposta da Musgrave (1981), citato da Salanti (1985), ignorare le variazioni delle scorte di moneta, è, come mostra il modello del circuito, un’ipotesi “non-trascurabile” (“non-negligible”), nel senso che il suo abbandono modifica la causalità fra le principali variabili macroeconomiche (Cingolani, 2022a, p. 256 e seguenti).

[17] Come osservato, per il circuito, la moneta è una passività emessa da un terzo estraneo alla transazione (acquisto o vendita) che viene accettata dalle due parti proprio perché il terzo (Stato, banche, o persona facoltosa) è un’entità “credibile” a loro estranea. Questa definizione esclude che i cosiddetti “I Owe You” siano moneta, non si può cioè pagare con proprie promesse di pagamento o, se si fa, queste non sono moneta. Per la stessa ragione, i bitcoins non sono moneta in senso circuitista perché sono un’attività e non una passività, sono cioè beni che hanno un valore più o meno permanente, sia esso speculativo (materie prime), collezionistico (francobollo) o artistico, ma che non deve normativamente scomparire al momento della chiusura del circuito, come la “vera moneta” circuitista.

[18] Parguez parte da un modello minimo in cui figura anche lo Stato, perché per lui senza di esso non si può concepire lo “spazio della moneta”. Graziani invece, seguendo in questo Wicksell, fa la scelta più radicale di iniziare il ragionamento da un modello in cui c’è solo il settore privato, ciò che gli permette di illustrare come la classe sociale dei capitalisti, avendo accesso al credito, decide l’allocazione delle risorse fra consumo e investimenti. Parguez, e in generale i circuitisti francesi, ammettono l’esistenza di una moneta di “secondo rango” emessa dalle banche private a favore dei capitalisti, ma questa è logicamente (perché legalmente) inferiore alla moneta di primo rango emessa dalla Banca Centrale, che è la sola “vera moneta”. La gerarchia fra moneta di primo e secondo rango (base monetaria e M1), non viene contestata da Graziani, ma il fatto di adottare un’ipotesi teorica più drastica, gli permette di illustrare le condizioni minime per l’esistenza della moneta, fra cui non c’è per lui l’esistenza della Stato. Si trovava comunque probabilmente d’accordo con Parguez quando questi ironizzava sul fatto che il debito pubblico è “oro” per l’attivo di bilancio di una banca, come aveva a suo tempo osservato il banchiere, parlamentare francese e fondatore del Crédit Lyonnais Henri Germain (Cingolani, 2013).

[19] Questo raggruppamento delle equazioni non c’è come tale in Graziani, anche se è una conseguenza relativamente ovvia della sua analisi. Esplicitarla illustra il funzionamento del blocco monetario e finanziario del circuito che, integrando la moneta endogena, ribalta le relazioni causali dei principali modelli macroeconomici quando viene ad essi integrato.

[20] Come giustamente fatto rilevare da Marc Lavoie, se il livello dell’occupazione come quello della produttività sono dati, in effetti è dato anche il livello della produzione X che non è quindi strettamente endogeno. Oltre che per disporre di una relazione che rispetti la linearità dei coefficienti di produzione assunta da Graziani come da molta della letteratura post-keynesiana, si è scelto di trattare l’output come endogeno e l’impiego come esogeno per evidenziare che nel circuito di Graziani le imprese decidono sia il livello dell’occupazione e quindi della produzione, che la sua ripartizione fra beni di consumo e beni di investimento. Si potrebbe dire che le imprese hanno quasi l’imbarazzo della scelta fra le variabili che sono sotto il loro controllo per definire ogni aspetto del ciclo di produzione e distribuzione. Tale libertà deriva dal fatto che le banche mettono a loro disposizione il potere d’acquisto necessario per realizzare i propri piani. Le famiglie lavoratrici non hanno invece un simile accesso al credito per la creazione di reddito. Possono solo decidere il livello del loro risparmio come frazione del reddito che le imprese hanno deciso di distribuire loro. Le imprese sono a loro volta di fatto subordinate al settore bancario al quale devono destinare una parte dei profitti sotto forma di interessi. Al conflitto capitale lavoro per la ripartizione tra salari e profitti, si sovrappone quindi, e in effetti prevale in Graziani, quello fra imprese e banche per la ripartizione fra profitto e interesse.

[21] Graziani (2003, p. 102) osserva anche che il livello dei prezzi non dipende dalla quantità di moneta, che è totalmente endogena nel circuito.

[22] Lettura che Alain Parguez considerava insuperata (comunicazione personale).

[23] Il che dimostra en passant l’interesse della scomposizione in fasi del periodo di produzione del circuito fatta da Graziani.

[24] In effetti compatibile a sua volta con gli schemi di riproduzione di Marx, ciò che non dovrebbe sorprendere più di tanto alla luce dell’analisi di Barone (1908).

[25] È noto che Kalecki non abbia mai scritto questa frase che gli è stata attribuita da Kaldor e Robinson.

[26] Le relazioni (10) e (12) sono leggermente modificate rispetto a quelle presentate da Graziani, per ottenere delle unità di misura più intuitive: 1+β è usato al posto di β e 1+μ è usato al posto di μ.

[27] In effetti la (10) si può ricavare da bd=iB ⁄ [(1+β)2 iD2 ] per la domanda di risparmio in titoli delle famiglie e da bs=(i_L2)⁄[(1+μ)2 iB2 ] per l’offerta di titoli delle imprese quando bd=bs.

[28] In questo caso, la condizione di equilibrio sul mercato finanziario che postula l’eguaglianza fra domanda e offerta di titoli delle imprese in proporzione al risparmio (che Graziani scrive genericamente: bd[iB/iD]=bs[iL/iB]=b) è posta uguale a uno (Graziani, 2003 pp. 124 e p. 127), il che implica anche una variazione nulla delle scorte liquide. Il caso è dunque quello di “moneta senza crisi” (Graziani, 1984b) e non quello “Malthusiano” (Graziani, 1980), in cui la moneta spiega il principio della domanda effettiva.

[29] Fra le esogene bisognerebbe a rigore distinguere i parametri di comportamento o tecnologici (b, s, b, m, e p), dal resto delle esogene (N, iD, iL, w), ma qui i due gruppi sono trattati insieme dato che di fatto tutti questi sono dei valori assunti come costanti nel periodo del circuito e che determinano le variabili endogene.

[30] La soluzione rispetta le identità seguenti: p*X = C+I = Y + P; Y = C + S = W + iB*B + ; S = B + DL; I = S + P.

[31] La figura corrisponde a quella presentata da Graziani (2003, p. 127). Un’inversione semantica, che è forse un refuso di stampa o una distrazione, è stata corretta nel commento che segue. Comunque, è ininfluente ai fini dell’argomentazione.

[32] L’esplicitazione del conflitto distributivo fra banche e imprese è uno dei contributi più interessanti e fecondi dell’analisi di Graziani e gli ha consentito di dimostrare come l’identità di Fisher secondo la quale il tasso di interesse nominale sarebbe la somma del tasso di interesse reale e del tasso di inflazione non è necessariamente valida a seconda che la creazione monetaria venga dal deficit pubblico oppure dalla creazione di moneta bancaria (Graziani, 1983a e 1984a), analisi che conferma quanto sopra e sulla sottilità della quale l’attenzione dell’autore è stata attirata a suo tempo da Alain Parguez.

[33] Il materiale presentato in questa sezione è stato preparato per una tavola rotonda del SIOI nel 2017 e per questo motivo i dati esaminati arrivano al 2016. “Riflessioni su moneta e finanza nello spazio europeo”, Tavola rotonda su L’Europa a geometria variabile: aspetti economici, monetari e di sicurezza, 3 ottobre 2017, Roma: SIOI. È poi stato usato anche in conferenze svoltesi lo stesso anno a Venezia e a Grenoble. “Financial assets dynamics in industrialized countries: trends and implications: A critical review of the financial balance sheets of the main industrial countries”, Interest Rates, Growth and Regulation, Venezia: 28-29 settembre 2017; e: “Financial assets dynamics in industrialized countries: trends and implications”, International Post-Keynesian and Institutionalist Conference on “Instability Growth & Regulation”, Grenoble: December 7-9, 2017.

[34] Perché ciò avvenga basta che il “tempo” del circuito finanziario sia più breve di quello del circuito “reale”, come elaborato nella conclusione al §2.2. Si ammette quindi implicitamente che in un dato periodo si possano svolgere due circuiti: uno è quello “canonico” relativo alla generazione del reddito (ricchezza reale) e uno è quello finanziario “degli scambi di denaro “. Quest’idea è sviluppata schematicamente in Cingolani (2013, p. 283) e in Cingolani (2019, p. 283) dove viene usata per discutere e interpretare rispettivamente l’evoluzione delle variabili macro-finanziarie europee e il ruolo della banca pubblica. In Cingolani (2022b, pp. 20-27) si sviluppa invece un esempio di articolazione delle fasi del periodo singolo del circuito per discutere il problema del finanziamento privato delle attività ambientali.

[35] Si è scelto questo valore iniziale arbitrario come parametro per distinguere meglio le curve sul grafico in funzione delle rispettive scale.

[36] A rigore il paragone porta su delle velocità delle dinamiche del valore di mercato, ma accettando un’ipotesi semplificatrice di omogeneità dei panieri di “quantità” di tali attivi, si può attribuire la maggior parte della variazione dei valori relativi ai prezzi di queste attività, anche perché nel campo dei prodotti finanziari non ha molto senso distinguere la quantità dal prezzo.

[37] Guardando ai flussi di finanziamento lordi, si ha un’indicazione della finanza “inizialmente consentita” ma in genere non si osservano i prestiti richiesti inizialmente dalle imprese ma rifiutati dalle banche, quelli cioè che rappresentano la loro “vera” percezione della domanda effettiva.

[38] Come osservato nella sezione precedente, si veda anche Cingolani (2013).

[39] Cioè in maniera “endogena” rispetto al funzionamento del sistema economico e ai suoi bisogni di liquidità.

[40] Anche se in genere non entra esplicitamente in queste discussioni, sembra lecito affermare che Allais, uno dei massimi teorici dell’analisi del welfare, presume l’applicabilità al mondo reale dell’ottimo di primo rango (first best), che è di equilibrio in quanto risultante da una massimizzazione vincolata e, essendo “ottimale”, induce a ritenere che qualsiasi deviazione rispetto a quest’ottimo sia “di secondo ordine”. Nelle analisi empiriche sui costi-benefici, si tende invece a separare prezzi di conto (o prezzi ombra) e prezzi di mercato, cosa che è esclusa dalla finanza moderna che postula invece possibilità di arbitraggio infinite.

[41] Il fatto che la liquidità creata dai prestiti nel finanziamento iniziale rappresenti i redditi salariali prefigura una possibile integrazione con la teoria del valore-lavoro sviluppata da Pasinetti (1986 e 1993) sulla scia delle analisi di Sraffa.

[42] Come ben spiegato da Riccardo Bellofiore nella sua lezione Graziani per IPKN e in Bellofiore (2013 e 2019). In generale, sull’apporto di Graziani, oltre agli eccellenti contributi pubblicati su questo blog, si vedano tra gli altri gli ottimi Fausto (2014), Costabile (2015) e Giannola (2020).

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