Ho conosciuto Augusto Graziani quando ero alle prime armi come economista agli inizi degli anni Ottanta. Ricordo la sua cortesia e attenzione, in uno stile comunicativo solo in apparenza formale, perché il suo interesse per la generazione dei più giovani era genuino e sincero. Ricordo, ad esempio, un invito a Napoli, in occasione della venuta di Frank Hahn, incoronata da una stupenda cena vicino al Teatro San Carlo, in cui noi “giovani” fummo ospiti.
L’occasione di collaborare fu quando Graziani mi chiese di scrivere una nota bibliografica per una serie che aveva ideato per la rivista Studi economici. Il testo che diedi alle stampe (Gli scritti di Joan Robinson dal 1932 al 1980, Studi economici Vol. 37, n. 16, 1982, pp. 159-228) fu la prima versione di un lungo, laborioso e paziente lavoro di ricerca bibliografica – in un’ epoca senza internet – che si concluse molti anni più tardi con quello che forse rimarrà il catalogo definitivo delle opere di Joan Robinson (The Writings of Joan Robinson, in the Palgrave Archive edition of Joan Robinson, Writings on Economics, vol. 1, London: Macmillan 2002, pp. xxxii-lxxiii.).
Ho pertanto un debito di riconoscenza verso Augusto Graziani per avermi dato un’opportunità e lo stimolo iniziale ad un tipo di lavoro che ebbe poi un ruolo importante nella mia attività di ricerca.
Ci sono state varie occasioni in cui mi sono confrontata con lui in seminari e conferenze, spesso sul pensiero di Keynes e talvolta in disaccordo, ma sempre in un clima di reciproco rispetto.
Il mio contributo qui si limita a proporre un brano tratto da una intervista che gli feci il 5 maggio del 1998, nell’ambito di una serie commissionata da RAI Educational, per l’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, un’opera ideata e diretta da Renato Parascandolo e che oggi gode del patrocinio dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa.
La serie consiste in 100 interviste audiovisive di circa un’ora ciascuna ad autorevoli economisti di diversi paesi. Le lezioni-intervista, realizzate dalla fine degli anni Novanta ai primi anni Duemila, furono condotte da me, che avevo curato il progetto dell’opera. Sono contenta di poter annunciare che queste interviste sono state montate, a cura di Renato Parascadolo e Maria Teresa De Vito, in un formato per essere accessibili e fruibili da tutti, presso il sito della Banca d’Italia che ha finanziato il montaggio e la revisione.
Riporto qui la trascrizione di un brano tratto da quell’intervista in cui Graziani illustra qual è a suo parere l’importanza di Wicksell per il pensiero economico odierno. A distanza di quasi trent’anni, il giudizio di Graziani rimane attuale e anche per questa ragione vale la pena di riportarlo qui per intero:
L’importanza di Wicksell per la teoria economica contemporanea – e noi pensiamo evidentemente alla teoria economica oggi dominante – per questa teoria il pensiero di Wicksell è fonte di cruccio. Wicksell è un personaggio col quale bisogna fare i conti per l’importanza di quello che ha detto, per la logica stringente con cui lo ha dimostrato e, forse, possiamo dire anche per il peso che Wicksell ha avuto su un altro grande autore del nostro secolo, l’inglese Keynes. Però fare i conti con Wicksell è un’operazione oggi diventata spinosa, perché la teoria economica oggi dominante tende a dimostrare – ancora una volta non vorrei fare il processo alle intenzioni ma forse possiamo anche limitatamente farlo – tende a dimostrare che l’economia di mercato è un’economia stabile, un’economia che tende a raggiungere l’eguaglianza fra domanda e offerta su tutti i mercati, che tende a distribuire il reddito secondo il contributo produttivo di ogni risorsa che ha partecipato alla produzione; quindi è un’economia che tende a dimostrare l’efficienza dell’economia di mercato, e invece la teoria monetaria di Wicksell aveva dimostrato le infinite possibilità di perdere questa posizione di equilibrio, di scivolare nell’inflazione, nella deflazione, di non rispettare più la regola di assegnare a ognuno un contributo proporzionale al suo contributo produttivo, una remunerazione proporzionale al suo contributo produttivo. Allora, gli autori di oggi cercano di dimostrare che il processo cumulativo, quel processo di inflazione senza fine, in realtà possiede dei meccanismi di arresto. Evidentemente per dimostrarlo devono un tantino allontanarsi dal modello di Wicksell. Wicksell aveva preso un’economia di mercato “pura”, un’economia in cui ci sono operatori privati: imprenditori, banche, lavoratori, consumatori, ma non c’è il settore pubblico; quindi, non vi è moneta legale nel modello puro di Wicksell, vi è soltanto la moneta bancaria. Lo stesso Wicksell diceva “il mio è un modello di credito puro”.
Gli autori di oggi, diciamo, se la cavano anche a buon mercato, suppongono invece un’economia nella quale circolano due tipi di moneta: la moneta legale, che sono i biglietti di banca della banca di emissione, e il credito bancario, e suppongono anche – ovviamente accostandosi alla realtà dei fatti – che le banche siano tenute alla riserva, cioè a conservare una proporzione prescritta fra riserve (sotto forma di moneta legale e credito bancario) e depositi raccolti. Allora, una volta introdotta questa idea, è evidente che le banche non hanno più la possibilità di un’espansione illimitata del credito: possono espandere il credito soltanto in proporzione alle riserve. Il processo inflazionistico prima o poi deve arrestarsi, a meno che non sia la stessa banca di emissione a fornire moneta legale come riserva senza limiti, ma questo supporrebbe una connivenza della banca di emissione con l’inflazione; e evidentemente la banca di emissione ha sempre la possibilità di regolare la propria condotta in omaggio al principio della stabilità monetaria.
Vi è un altro aspetto per il quale i teorici di oggi si trovano in difficoltà con Wicksell. Noi abbiamo detto che il modello, la descrizione di Wicksell, si basa su questa contrapposizione iniziale tra banche e imprese: il mercato della moneta – dove le banche finanziano e le imprese si fanno finanziare – è la matrice del suo ragionamento. Nei modelli di oggi, nella ricostruzione teorica di oggi, questo minaccia di scomparire per una ragione teorica: mentre Wicksell dava una descrizione passo per passo del processo economico, i teorici di oggi tendono a descrivere soltanto la posizione di equilibrio, soltanto quell’assetto finale nel quale tutti i mercati sono a posto, domanda uguale offerta e tutti gli operatori sono a posto nel senso che non hanno né debiti né crediti pendenti. Se nessun operatore deve avere dei debiti pendenti, questo vuol dire che anche le imprese hanno rimborsato il credito bancario, ma se hanno rimborsato il credito bancario la moneta bancaria è scomparsa, l’unica moneta che può rimanere nella posizione finale di equilibrio è la moneta legale, emessa quindi dalla banca di emissione; infatti, tutte le ricostruzioni della teoria macroeconomica di oggi ci dicono: qual è la quantità di moneta che troviamo anche nella posizione di equilibrio? Risposta: quella emessa dalla banca di emissione per conto del settore pubblico o per conto dell’operatore pubblico dello Stato. A questo punto vengono meno proprio i presupposti della descrizione di Wicksell, perché ovviamente nella posizione di equilibrio scompaiono perfino le banche, scompare la moneta bancaria, e tutta la costruzione di Wicksell rischia di andare in fumo. Questo rende estremamente difficili i rapporti tra gli economisti dominanti oggi e il lascito intellettuale di Wicksell, anche se tutti rendono omaggio al suo contributo originale, innovativo e direi anche molto duraturo.